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Le quale errabonde et inscie, intentissime alla fuga per devii et avii lochi, et per densi spini ire coacte, et per illacerante et mortale fragritio et per l’ardore del infocato carro molte fiate exorbitante scalpitando per gli arbusculi, da capo a piedi laniate, et di sangue gli membri discussi piovevano, et le lacerate carne. Et il vermiglio et fumido sangue, copiosamente spargiersi per le acculeate sente, et per la terra io vidi. Et disordinatamente per le folte et puntute vepre da furiosa rabie concite, mo qui, mo lì, malamente lo ardente et pondoso carro trahevano, che ancora crudelmente incendeva le molle et delicate carnule. Le quale non solamente erano cocte, ma como uno perusto corio crepavano. Et sì con vahu, et cridi miserabilmente affligentise ad alti clamori et pianti, et miserabili eiulati exclamavano, verse in magiore furia di Oreste. Diqué il scabroso et arborissimo locho, tuto degli pietosi accenti risonava, et hogi mai le mandibule restringentise, et raucitata la stanca et consumpta voce, non valevano più le dolorose exanime durare. Daposcia paucula hora, molti crudelissimi animali le iunsseron. Et il carnifice et immite fanciullo, doppo lungo et cruento stracio et immanitate delle sventurate et mischine adulescentule. Quale cruento et exercitato in simili carnificii, dell’ardente vehiculo di subito discese, cum una soliferrea et tagliente Romphea, solute dal molesto iugo, et grave trahere per medio del suo pulsante core. Ello spogliato di qualunche venia et miseratione, cum rigida et incontaminata severitate, subito tranfisse.

B iii