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pegio? In veritate niente. Et così tuto me impavorisco, et tuto me perdo decisa qualunque sperancia. Et talhora me assicuro dicendo. In me di Ixione non sa trova la falsa iactancia, né quella di Anchise. Né la insolentia di Salmoneo. Né li sacrilegii di Brenno, et di Dionysio Syracusano. Né la impudentia di Echo. Né la improba loquacitate di Syringa. Né la temeraria audacia delle Piche. Né la stulta confidentia della textrice Aragne. Né la crudelitate delle filie di Danao. Dunque perché Cupido contra me sì reo et sì diro sì sevissimo palesemente se dimonstra? Perché tanta deceptione ad gli teneri, et creduli amanti, offerirse cum tanta dulcitudine simulata, cum tanta fallacia di mortifero veneno et pestifero confecto illito alla pernitie? Non intendando misero me del maligno fato, et exitiale sorte il suo exito et exitio alla mia paucula vita imminente. Et ad quale clade la Fortuna me intenta non cognosco. Né posso sapere, né provedere, cum quale calamitate, cum quale erumne, cum quale lucto et merore som implicato, et allo eterno pianto proscripto, si tu mia precipua sperancia non mi soccorri nelle presente angustie devoluto et prolapso. Onde considerando questo effecto d’amore, disproportionato, a quella causa, non posso per alcuno pacto in la cognitione di quella venire. Imperoché questo amore, mi apparve cosa dulcicula, ma lo effecto ch’io sento è summamente amaro. Non intendo dunque che cosa sia questo monstruoso amore. Si non che io vengo in coniectura che tu Polia consenti alle tormentose angustie, né però nel volto tuo angelico, alcuno indicio vedo di pietate et clementia. Et per questo solamente fugire per disdegnio l’alma exasperata sento. Né più la posso sustentare, perché io perdo gli gelati spiriti, virtute et valitudine. Heumè dunque infelice amante sencia pare erumnoso. O sopra qualunque amatore calamitosissimo, io dinanti ad me vedo la obscura morte parata minitante, dell’aspecto de la quale territo, consternato et oppresso, per te sola sperancia del vivere mio che così essere mi suadeva. O fallace. O iniqua. O perfida, tu me hai conducto in questo amarissimo puncto. Heu Polia. He mia Polia, che debo più fare? che altro effugio, né soccorso valeo tentare? a quale lato voltarme posso? Heu Polia adiutame che ad me medesimo infelice sencia te non posso prestare auxilio. Per la quale chosa me sento perire. Et sublata la misera voce cum le promicante lachryme, misello, le ultime parole terminate, in terra prolapso moritte. Hora in questo solo extremo potere che lo homo tuti gli altri membri et sensi perduti pientissime Nymphe sola la dicacula lingua valorosa si rimane, fece longi lamenti molto meglio di quello io hora posso replicare cum tanta amaritudine di core pietosamente illachrymando, molto più che il pianto della misera Ariadna che il filio del celeste Iove commosse, et dicta la suprema parola, per me tuta subito io sentivi