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et uno piacevole figmento, già islocata l’alma liberamente demigrata sarebbe, quale nel presente a quel puncto disposita io sento adventare. Et per tale modo provo alquanto il conquassato core ristorarse, et uno poco respirare. Di subito poscia me vedo totalmente frustrato et relicto inane et vacuo di omni subsidio et iuvamine. Et così orbiculariamente negli predicti agitamenti recidivando passano et fugano gli dì mei, questa exasperata vita dolorosamente vivendo. O me sovente fiate cum industrioso et sagace cogitato, me vorei da tanto molesto pondo sutrarme, et da questo urgente fasce et premente iugo, et da sì dolce pensiculare di te, et da questa exitiale subiectione liberarme, tentabondo. Heu me alhora più irato et più indignabondo me di mali errori incapistra Cupidine, et contra la tentata fuga più vigile, et più intricantime inviluppando, di non fugire impedisce. O bellissima sopra tute prestante Nymphe ad gli superi piacesse hogimai da te più presto essermi la odibile morte data che nel presente in tanta exasperata amaritudine non exaudissi queste mie amorose et iuste petitione cum affectuose precatione, et prolissi lamenti, dala subministrante occasione producte, già più di intro il cremato core concepte et coacervate. Il perché Polia di venerato dignissima, bella cosa et eterna gloria, et preclara laude, per tuo amore morire mi suado, et per inconveniente feritate di Cupidine. Il quale iuridicamente perdonar mi pole, si in questa mania improperando esso et la sua crudele et malefica potentia maledicesse. La quale me sì forte al tyrannico arbitrio delle sue urgente et fallace lege hae sottomesso et presso. Et haventime in così forte fiamma captivato, retrogrado volante, per tale modo me hae spoliato et deserto di ogni adiuvamento, et di ogni quiescentia destituto. Daposcia in un momento penitendo quelle imprecatione et maledicto revoco, territo temendo, omè, che ello in me più impiamente non sé ad iracundia provochi. Et poscia più fecundo pena al mio core et doloramento non fermentisca. Et che esso non accendi più il mio dilecto, et ardente disio della tua conspicua elegantia et legiadria. Et da l’altra parte te intractabile et meno pia come al presente suspico. Et quando questo, o me io premedito considerando intrinsecamente la hesterna impietate sencia dubio derivato parmi essere tra la bucca cum attrito di denti sonace et spumea del Apro Calidonio, et tra Phitone horendo, et tra la framea leonina, che elli la carne mia lancinanti devorano. Et parmi di audire tristamente summurmurare l’alme inferne, et tute le infernale furie, et la spaventevola Proserpina di insinuose vipere Cesariata, et il tricipite Cerbaro, et lo interno Plutone et Acheronte disgratiato tartareo traiectatore al tremendo Schaphidio invitarme ad navigare le Styge onde di Letheo et Cocyto al tremebondo iudicio di Minoe, Rhadamanto, Eaco, et Dite. Ma ultra tute queste cose abhominabile, uno più pestifero et formidabile accesorio nella mente me offende, che temo essere da te, come heri etiam hogi repudiato. Heumè che