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prestantemente dotata, et de etate florentissima, et ad agli amorosi mysterii acceptissima. Dunque non infuscare tanti amplissimi muneri dalla benigna natura, cum improba pertinacia, et impia obstinatione, a questo dolce, ducibile, et molliculo sexo denegata. Como heri senza ragione contra me infelice, te rea dimonstrastii. O me heu me Polia precipua domina del core mio, si tu una minima portiuncula sentisti, et si sentire questo fusse crudele et illicito, almeno corculo mio imagina sentirlo, coniecturando queste conquerule et lamentabile parole, non d’altronde procedere, si non dal intimo cruciato del amoroso, et mortiferamente percosso core cum più letale percussura di Philoctete. Per la quale così dolorosamente patisco per questo morsicante affecto, tanto continua pena in me tribulosamente corrodendo più che la rodente Tinea agli lanacei indumenti. Et più che sitibonda Eruca nel liquore delle pallide fronde de Minerva, et più che rosicante Teredine nel trabe ceso, sotto lo hirsuto Ariete. Et più che Uredine ad gli arbori et ad gli cariosi stipiti. Et più che mordicante Terma nella Suilla carne. Et più che croceo Rugine al duro Calybe, et più che de spuma le canescente unde impetuosamente le petracee ripe demoliente. Et è ad me più infesto che Anteo in Libya. Et allo opido Lixo del promontorio Ampelusa, overo Tinge et cum più dira pugna che le Grue agli Pygmei. Et per questo recensito modo, gli anni della mia celibe adolescentia infructuosamente dissipo. Et così da crudele amore, in me succenso diuturnamente me crucio. Ad pegiore stato et conditione, che le insensibile creature ritrovantime. Quale le virente plantule sotto il torrido Sole, nel feroce Leone inuste, et quando Sirio è nela bucca dell’ardente Cane. Le quale poscia, nella succida nocte dal matutino rore irrorantise, se ricentano, et per la roscida aspergine ritornano vivificate, come si pridiana lesione sentita non havesseron. Heu me misero amante, per tuo amore Polia mia audi, continuamente nel vespero me accendo, nel crepusculo me tuto infiammo, me cremabondo nel conticio ardo, nello intempesto me consumo, et nel gallicinio como cosa cinerea me sento. Ma che fae poscia il tuo tristulo Poliphilo o Polia mia optatissima? Similmente per tuo amore così in me acerbito, nel matutino in suspirosi pianti me commovo, et nel diluculo in quelli tuto perfuso algentemente gelato me trovo, nella corruscante aurora, la mia sterile et noverca fortuna io maledisco. Et il mio ardente amore causato dalla più elegante et formosa Nympha del mondo, gratulantimi io benedico, nella fresca matutina ancora accenderme incomincio, tuto infiammato me trovo il novo dì ricentantise, nel meridie languescente, morire me sento, senza specula di alcuno adiuto del mio adverso amore, et senza alcuno consolamine in tanta granditate di ardore, dunque que constantia si ritrovarebbe, et corpo robusto, che in tanti et tali supplicii evadere duraturo potesse? Ma senza dubio si el non fusse animula mia bellatula et dulcicula, che solo di te imaginando fingo, et in me mentisco uno suave dilecto