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me inferociva più validamente ad maiore tolerantia. Niente dimeno fingeva multiplice, et varie cose nel animo mio simulando prosperamente venture, molti subsidii, solatii, et suppetii meco verisimili componeva, et cose di mira magnificentia d’amore a mi medesimo largamente prometeva, et tuto trovo fallace speranze, et inani cogitamenti. Onde divortiata la tua eximia, et tanto illice presentia, et da questi tristi occhi abstracta dedi primordio de inchoamento di medulito distrugere il basiale suffulcimento, della vita mia, et di percotere o me amarissimamente il pulsante pecto, sospiroso tonante, cum crebri singulticii anhelante. Et quale inane harundine, overo canuscula della sua alma, che in te sola iace et vive, me ritrovava. Et più dille fiate contristato, non sapendo che diciò io dovesse fare, io plorava lachrymando, et tra me ingemiscente, te inimica di ogni mio quieto bene insimulava, te cagione di tuti questi errori, et erumne incusava, te degli mei ardenti amori perfuga te hoste dolce di mia salute calumniava, et quasi amente et maniaco coacto, contra te l’ira cupidanea provocando. Come ad attroce, et crudelissima, le sue sanctissime facole protervamente spretora et sola cagione degli damni mei estimo. Audito patiente tale ragionamento contra me fina a questo puncto, ignara di simile cose, interrumpendo et il suo molesto, et displicibile, et ingrato dire, et le mie precatione, senza non solamente responderli, ma ancora per la facia non spectato, indignabunda erubescente subito me levai. Et d’indi lassatolo parvifacte come vane parole, io fugiti deridendolo. Ma il dì successore venuto, arbitrando che ello non perseverasse, alla pridiana invasione a molestarme. Non più rato io nel dicto loco orante veni. Ecco che io respecto esso cum plumbea et trista facia, cum il medesimo modo a perturbarme aggresso, cusì similmente suspirulante disse temporio. Heu me Polia bellissima, immo conspicuo exemplare di qualunche bellitudine, commovite mite hogi mai, et pia a tante mie lacescente pene, le quale senza intercalamento, et dì, et nocte, et incessante me affligono, et ad te venire me constringono. Et il tuo indecente acerbito core humectalo in tanta duritudine, et uno pauculo molicula. Et repugnando non te insurdire agli mei iusti desii, causati per amore che le tue non mortale belleze hai diffuso per tuto me doloroso. Et ancora extrica, et solvi gli implicatissimi vinculi della tua tenace mente. Et ridute et disponite misericordiosa di ristorare conservando, cum equivalente dilectione questo poco del fluctuante et periculoso vivere mio, consummentise, di nocturne lachryme, et anihilantise da diurni languori. Et per tanto non volere te prego isvillire la tua non humana conditione per attrocitate, monstrantite contra chi sì dolcemente ardendo, te ama, te desidera, te venerante cole. Perché essendo ingenua excessivamente bella, et di ogni virtute, et elegantia decorissimamente insignita et