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Et tanto me exacerbavano gli urgenti ardori nel intimo del core mio rebulliscenti, non havendo altro bene da sperare et desiderare, salvo che te sola Polia precipua et valentissima medicina. Et io era inscio di te, privo di te, relicto da te. Et quanto più excogitava della ingrata absentia della prestante forma et della celeste belleza, et decorissima facia, et del cumulo elegante delle tue eximie virtute, tanto più mi accresceva pena et amaritudine, non le potendo fruire. Per le quale cose, o me misello amante, cum tanto impeto, inconsulto et precipitante acceptai, queste horrende iniurie et fallace blandicie, et subdoli allectamini d’amore, velando et subtegendo la amaritudine, et inquietissima agitatione, che d’indi alcuna fiata, immo più delle fiate invasivamente ne doveva consequire. Et peroe puramente havendo, et cum tanta tolerantia voluntariamente per te Signora mia Polia dulcissima, queste sue asperrime insidie suscepte, me hano facto poscia iniustamente rimanere, heu tristo me, tanto interposito di tempo senza rivedere te tuto mio bene tuta mia speranza, tuto il mio consolamine, te solacioso ergastulo del mio core, et senza il spectaculo dell’eximio et venerabile adornato di questo tuo bellissimo capo, senza intuitione di questo tanto gratioso aspecto, et insigne et mirando simulachro. Quale Arbonense laco di Aphrica absentantise il Sole, l’acque dil quale fervidamente bullino, et nella sua presentia nel meridie, algente se infrigidano. Cusì io nella tua absentatione Polia Sole mio irradiantissimo, io tuto adusto infervescente quale liquabile cera me strugea liquabondo. Et hora nella tua Solaria presentia di horrore me gielo. Diqué pensicula alquanto Polia delitia et colume mio, che tanto protracto di tempo in suprema angustia et formidabili periculi del vivere mio me ho ritrovato. Il quale vivere per tuo amore et perpetuo servitio libente io riservava, a magiore periculo che le bionde et mature frugie negli spatiosi iugeri, a periculo degli crepitanti fulguri, et degli corruscanti tonitri, et degli corruenti Imbri et spiranti flabri rimangono. Et a similitudine della serpente et discola Hedera il vetere populo amplexante, d’indi giù extirpata et divulsa, non per se stessa poscia salibile, corruente all’humida terra iacendo molle et debile, et lentosa rimane. Et quale scandolosa vite sencia il suo pedamento et pertica suffulta, et senza il grato Ulmo prostrata incumbe. Cusì né altramente sencia te mia firmatissima columna et colume pila et sublica constantissima. Alla quale apodiato havea amorosamente inflexibile, et cum obstinato proposito la vita mia. La tua absentatione dunque, causa è che io prolapso al morire cusì derelicto me trova. Per la qual cosa, tanto ampliato se era il furore mio, che el non permitteva unoquantulo di persentire il grave dolore, immo più stimolosamente exagitato et puncto dal solicito Amore