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mio core deleto et exterso era omni cogitato di esso Poliphilo. Como si anchora l’aque di Letheo filio di Phlegethonte potate havesse, né meno quale si annulata fuss’io dell’annulo del bono Hebreo, come l’amorosa Ethiopessa obliviosa. Ma esso che acerbamente di cieco foco era, et di stimulante amore vulnerato, et della Cupidinea lancinatione il pecto lancinoso. (Io non intendo chomo suapte l’intellecto il poté imaginare, o vero che la sua favorabile fortuna gli prestasse benignamente la comosa fronte, che esso doloratamente strugientese, et in asperitate d’amore consumantese, et in lui il sevo Cupidine intemperatamente domesticatose) me ritrovoe nel dì della mia sacra dedicatione, cum alquante altre virguncole consecrarme. Nella quale solemnitate solito è la procace et turba giuvenile agli sacri spectaculi avidamente convenire. Et di me chiaramente avidutose totalmente se perdette. Daposcia ello per questo affectuosamente sperava di haver ritrovato suadentesi dil suo infiammato core rimedio presentaneo et opportuno, tamen ignaro che fare egli dovesse. Si non mirare et remirare cum intentissimi obtuti la gratissima testa, cum decoramento delle flave trecce. In cui decoramento esso summamente collocato havea solidamente et fabricato, omni suo ameno et delitioso piacer, et contento felice et determinato, et fixo pensiero. Ma perché d’indi in retro che religata me hebbi cum votivo core agli sponsati voti, da homo unque, overo rarissime fiate più me lassai vedere. Ma celatamente et la velata facia obtecta, cum occultissimo recesso, et accesso al sancto tempio, et quasi incognita per lungo tracto di tempo, opera dava di riservarme inconspicua. Poliphilo misello amante che non appretiava più la gratiosa vita, che la spaventevole morte, computando il dì in anno per longo indugio di non poterme rivedere, tuto anxio et perplexo, ma cum constante animo pertinace, tantillo astutamente, et cum provida et insomne disquisitione et diligentia. (Quale homo invinculato in horrendo ergastulo detruso solo intento alla fractura per fugire vigilantissimo, et quale egrotante alla sospitate desideroso intende alla evasura). Sapé ello tanto angulatamente pervestigare explorabundo. Et forsa dal volante Amore directo ad tanta pervigile excubia, che nel tempio uno dì, ove sola rimansi ad orare. Lui bindato di excessivo amore, et orbato da focoso desio. (Quale animale sencia discurso il fine non pensicula del suasivo appetito) moribondo accesse, là unde non più presto dinanti di me il vidi, che properamente contaminata el mio indisposito core, como frigido Adamante, che per incendio non se altera rigiente se geloe, più algente divenuto che la petra Porphirica. Et cum animo immite et efferato, spreta et stupefacta omni pietate, in grande odio in lui convertiti l’animo mio. Per aventura più