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Per la quale cosa deserta da tuti, et relicta fui, si non dalla mia pietosa et optima Altrice, che restata adiuto, et ad veder era l’ultimo suspiro et exito del spirito mio. Et già sovente fiate implicata dal grave morbo, incomposite parole et sepiculi lamenti et gemiticuli variamente carivarendo et vacillante io i’ ritornava in me. Et quivi melio che io poteva et sapeva sinceramente dalla Divina Diana soccorso invocai. Il perché alhora a mi d’altri Numini non era notitia, né cultura alcuna se non essa Dea. Et cum multiplicate prece, cum la tremula voce puramente exorante precava. Alle sue sancte et gelide castimonie, cruciantime di grave valitudine pollicita, supplice me votai, et religiosamente di servire sempre agli sui sacrati templi, cum tenace castimonia. Si ella me miserata, liberava dal mortale contagio et morbo. Cum fermo et persevero proposito nella mente mia. Et cum tanto meliore sperancia, quanto che io me aricordai del benigno favore, che lla dicta Dea ad Ephigenia prestoe. Dummentre che Agamennone per Apollineo monito, ello la voleva in sacrificio immolare. Et gli pietosi parenti duramente collachrymanti, commota diciò ella et miserata, una fumifera nube interpose, reservando et Ephigenia, fue ritrovata la cerva. Dunche per così facta simigliancia io secura quasi, il suo sancto adiuto et difensaculo sperava. Et peroe non stete dilatione di tempo, che io fui curata, et miraculosamente revalescente la salute pristina restituta. Per tanto a l’alte et spontanee promesse, et solemni obligi ligata, alla executione me intentamente exposi, et sedula gli mei professi voti adimpire. Non cum minore proposito de illibata conservarme, che le Matrone negli Thesmophorii, negli strati degli folii di Agno arbore dormiente. Né cum menore divotione et religione, che Cleobis heberon et Bitone. Et intromissa nel sancto tempio, et nel consortiale convento et solitate de molte altre virgine puelle ricevuta, che a quella Dea pudica et mundamente famulavano. Incominciai et io sedulamente cum epse di visitare et humilmente le Dianale Are venerare. Onde la più bella parte quasi dela mia fiorentissima puellitia et piacevole etate consumando negli casti algori. Intervene che Poliphilo nostro fervido et insolentemente inamorato, tuto questo intervallato tempo, che fue uno anno et più, il mischino sempre stete discontento et in cordolio. Postea che più ello il mio aspecto, et gli biondi capegli per alguno pacto non poté revedere, et essendosi islontanato dal mio fredo core, et più diviso che Abila da Calpe, et del mio sterile pecto d’amore, fora abraso, et totalmente diluto, et dalla mia reminiscentia obliterato, unque ne veniva nella mente mia. Né più né meno, immo non era così liturato dagli parieti dil tempio della Bona Dea, gli scripti et dipincti animali mascoli, et lo ingresso di qualunque vivente excluso, quanto fora del