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del mio professo concionare transgredisca. O fonte sacrosancto in cui mysteriosamente è la dispositione de gli archani et del thesoro della celeste genitrice pieno di assidua sanctimonia, et pacata religione. Et che al presente sopra le tue florulente preripie sede cum tanto consolamine et così insigne semidee, et nel quale la più excellente et contemplabile parte del suo speciosissimo corpo specularmente fingi havere. Per la quale cosa tu sei summamente di obstinata riverentia colendo. Et per tanto mai non lassasse a mi qualunque di voi mirare che tuta velitante gli mei pietosi ochii in lachryme non si convertiscano fluente. Accedendo nella mia mente tranquilla a ccommovere, la dilaniata Dirce, la piangiente Biblis, la invidiata Galathea, la fugata Arethusa, et la dolorosa Egeria, non ritorno in tuto libera degli mei spiriti. Dunque cum quale affecto di animo, et quale studio, et cum quali voti è invitata la incompta lingua a tale narratione? Il perché la prima mia originale stirpe fue infelice, conciosia che di quella fue chi per divino ulto iustamente in surgente fontane, et liquanti fiumi se transformoe. O deploranda metamorphosi. O caso infortunato, et malamente sciagurato, et miseramente dolendo. O serie indissolubile degli fati. O ordine inevitabile et perpetuo, in tale caso precipite et transversa, potrò te io narrare senza gravi suspiri et dolorose voce, et imperfecte singultate parole. Et senza irroramento di lachryme supra le assciutte gene? Quale il peregrinante Ulysse gli miserabili excidii di Troia ad Alcinoo Re degli Pheaci recitando piangette, et che non rumpi il pecto mio di cordiali sospiri, in questo sanctissimo loco di felicitate, denegati, et di provocatione interdicti? Et in nel quale loco ragionevolmente gli ochii di lachryme, et il pecto di sospiri se steriliscono. Et a ssì beata et gratifica audientia remote et aliene. Et precipuamente in questa persuave et carissima victoria, dil mio appretiatissimo Poliphilo. Non ve maravegliate dunche fauste, venustissime et celicole Nymphe, si io incontinente, sì per la flebile mia parentela et progenie, et sì per il mio primo inamoramento difficile, alcuna fiata singultando il mio prolixo sermone interrompesse, digno niente di mancho di cunctatione, et di morato et attento audito. Imperoché indubitatamente due maravegliose cose comprenderete. Una primo insolita et inaudita sevitia et inhumana, immo pecuina feritate, et atrocitate feminile, ultra il credere. Devenuta ad tale felice et amoroso exito, quale al presente palese il vedete. L’altra il maiore et inopinabile amore del orbissimo mondo, havendo tale initio et exordio. Dive et Cythereide Nymphe, nel tempo che la virente et fecunda palma fora della lanacea vitta miraculosa et prodigiante germinata, nelle Vestale flammule, del fronte de Ilia Silvia, ombrigiava triumphante la spatiosa terra et lo immenso mare. La familia Lelia nobilissima era amplificata in grande