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trogresso et d’indi nel stomaco, et de qui cum latebrosi ducti ad tutte l’altre parte delle interne viscere, alquanto pavoritato perveni, o mirando concepto, io mirai tutte le parte intimamente, quale in uno humano corpo pervie. Et ad qualunque mirai inscalpto in tre idiomati, Chaldeo, Graeco, et Latino, di quella parte la sua appellatione, che in ciascuno naturale corpo vedesse intestini, nervi, et ossa, vene, musculi, et pulpamento. Et quale morbo in quella si genera et la causa, et la cura, et rimedio. Diché per tutte le inglomate viscere, era aditiculo et commoda aditio. Cum respiracoli diversamente distributi per il corpo ad gli opportuni lochi illuminanti. Nulla parte meno che nel naturale consiste. Et quando al core applicai, vidi legendo come d’amore si genera li sospiritti, et dove amore gravemente offende. Et quivi tutto commoto, dal profundo dil mio core subtraxi uno mugente suspiro, Polia invocando. In tanto che tuta la erea machina risonare cum non poco horrore sentiti. Arte sopra omni exquisito inventa, ch’homo sencia anatomia praestante se facesse. O praeclari ingegni passati. O aurea veramente aetate, quando la virtute concertava et cum la fortuna. Solum ad questo saeculo relicta haereditaria la ignorantia et avaritia aemula lassasti. Vidi egresso in una altra parte alla crassitudine praefata, una fronte di testa foeminea tra li ruinamenti alquanto detecta il residuo dalle maxime rupture sepulta. Per la quale cosa existimando simigliante opificio constare, verito per le incomposite et inaequale ruine il lassai esso di mirare, ritornai al primo loco. Ove etiam, non troppo distante dal magno caballo, ad libella se offeritte uno maximo Elephante di nigricante petra, più che Obsidio, scintillata d’oro, et mice argentee copiosamente quale pulvisculo disperse, et per la petra micante. La contumace duritudine dilla quale, apertamente indicava il suo chiaro lustro. Imperoché in essa omni obiecto representantissi proprio il remitteva in quella parte, excepto, ove il metallo havea diffuso il suo verdaceo erugine. Et questo congruamente, perché nella summitate dil suo amplissimo dorso, havea uno meraveglioso Ephippio Aeneo, cum due stringente Cingule circumacte al monstroso corpulento. Tra le quale pergrande ligature cum fibule necte dilla medesima petra, si ritinia uno quadrangulo correspondente alla crassitudine di lo Obelisco di supernate collocato. Diciò che niuno perpendicolo di pondo, non debi sotto sé havere aire overamente vacuo. Perché essendo intervacuo, non è solido, né durabile.

La quale parte quadrangulare per ciascuna dille tre facie di charactere aegyptio bellamente era liniata. Dunque questo dorsuario monstro, non sencia miraveglia diligentissimamente expresso, et exacto, quanto meglio per regula artificiosamente fingere et statuare si potesse. Et nella sopra dicta sella di molti sigilli, et bulle, et historiette et fictione probatamente ornata, firmatissimamente fundato uno Obelisco di petra lacedaemonia verdegiante sustentava. Di llatitudine nelle aequate facie, quanto lo imo diametro d’uno passo, et multiplicata al septeno numero, tanto era fino alla aculeata summitade graciliscen-