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confortavano, et le summisse et dulcicule parolette me vivificavano. Solicitantime essa affectuosamente, che io desse opera ad gli suavi cantari de sì egregie, et dive cantatrice, et tante mirabile cose, cum gli sensi fruire. Interrumpendo il fixo riguardo in lei et tuto il mio cordiale intento, oltra tuto quello che si pole opinare più grata la mia pulcherrima Polia ad gli mei fervescenti urori, che per aventura tanto grate et expectate non si sarebberon praesentate le rapide unde di Xantho et di Simoenta alle iliace fiamme. Né tanto grato si prestoe lo honorato dono dil capo dil setigero Apro, di Meleagro ad Atalanta. Né ad l’amata Alcmena il bel dono dal benigno Iove. Né tanto grato et opportuno se offerite ad Hannibale nelle aque lo elephanto. Quanto Polia quam gratissima ad omni mio dilecto et contento. Constante dunque alla incepta opera, tra dulcissima voluptate, et odibile dilatione perseverava. Né più, né meno, che il ponderoso oro allo extremo cemento, et ad gli subtilissimi liquori persiste. Me volveva poscia al divino puerulo. O flammigero Cupidine summurmurabondo diceva. Tu alcuna fiata, signore mio, dilla bellissima Psyches te medesmo et cum le proprie crudele sagette vulnerasti, fina alla novissima linea di ardore. Quale gli mortali, essa extremamente amando, et ti piaque lei sopra tute puelle amare. Et assai te dolse il doloso consiglio dille invide et fallace sorore, et sopra il nubilo cupresso contra essa cum diutino plangore cruciata, iracondo lamentabile quaerimonie, increpantila facesti. Usa et exercita pertanto verso me pietate, et considera experto la fragile qualitate degli cupidi amanti, et tempera alquanto le tue adurente facole, et modifica l’arme tue nocevole, et il tuo lethifero archo ralenta, perché d’amore tuto me discrucio. Il perché io ragionevolmente argumento, che si in te medesimo saevo et impietoso vulnerando te fusti. Quale aequabilitate d’animo suade, che io non me terischa, che sencia pietate, verso di me, più immite et effreno, et saevissimo non te praesti? Et cusì exasperato concitatamente audeva, et cum diverse petitione, et precature et fabricate quaerimonie, et fincte satisfactione deliniva alquanto la forte invasura, et il crebro impulso dil improbo, et exoculato amore. Ma per tuto questo non era condignamente reconciliato il mio infocato core, né realmente satisfacto al discuncio appetito mio. Et quello che allhora e’ gli precava, solo che fine pona almeno al mio crucioso et diutino sperare, cum molesta expectatione di exito carceraria. Avenga che molto più sia di aviditate suavissimo il futuro concupito, che il praeterito dilecto acquisito, ma pure omni infesto amore contende allo expectato fine. Dunque abrevia cum subita abolitione, et temporia sperancia. Signore mio questo ingrato et displicibile differire, più che ad gli puri ochii il fumeo Nubilo, et ad gli denti la obstupente acredine et che il