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opacissime sedie, dalle aeterne fiamme liberoe. Né ancora cum tale sono Hermete adormentoe lo oculato pastore. Quale per il purgatissimo aire spargentise fora dille pretiose et coralicee bucce spirava. Et per il candido iugulo traiectare vedevasi gli vocali spiriti, cum modulata suavitate diffundevasi. Imperò che quella era coeleste carne, et divo composito transparente, quale crystallina frigidissima, et reficiata camphora di chermeo tincta. Diqué ristato si sarebbe Phoebo di venire ad inrosare la lycophe aurora degli corruscanti radii, et di dipingere sarebbe dimenticato, et fare gli colori ad gli fiori, et di recentarse gratioso dì ad gli mortali. Et per questo sencia dubio la arcigera Diana, gli curvi archi et le volante sagitte, et le sedule venatione, et le dense silve oblite harebbe, et thermato il gelido fonte, et spreto non harebbe la praesentia del incauto venatore, et cornigero cervo, ad gli mordenti cani lacerabondo non l’harebbe convertito. Et la omnivaga Selenea se sarebbe ritrata da illustrare cum il suo splendore gli superni cieli, et la umbrificata terra. Et la spaventifica Proserpina nel suo luctuoso regnio, non harebbe ispasimato gli dolorosi subditi, si alle sue orechie consimile tono pervenuto se fusse. Et il solatioso Baccho harebbe facto resistentia alle lubrice lascivie, et harebbe neglecto gli ogigii colli, Eleo, Naxo, Chio, et Masicho monte, et Mareotis, et harebbe parvifacto le mustulente delicie dil vindemioso Autumno. Et l’alma Cerere harebbe sempre in virore ritenute le spiche. Postponendo gli habondevoli regni di Ausonia, né commutate harebbe le crasse, et tetragrane spiche cum Chaonia. Et il nubitonante alite fora dilla aduncitate dille inverse ungue non harebbe sentito il rapto pocillatore Phrygio fugirsene, tanto suavissimamente le Nymphe cantavano et concordemente sonavano, et ciaschuna di loro cum la mia Polia cantillante, alle patule urechie coeleste melodie dispensavano. Per le quale sopito se sarebbe il nigro et multiforme et lucubrario Cerbero. Né excubiato harebbe cum immoti ochii le metallacie valve di Tenaro. Et allhora la furente Tesiphone, cum le monstrifere sorore alle misere alme s’haveriano exposte placidissime, et benigne, né unque Parthenope cum le sorore, Leucosia, et Ligia, filiole di Acheloo, et di Calliope, alle Capree insule apresso Peloro cantante, se udirono cum tanta harmonia, cum voce, modo, Lyra, et forabile tibie, d’onde l’alma incendiosamente infiammata dal suo loco summota per gli foelici canti, et soni, effigie bellece, comitato, et maiestate redimere non la valeva né farla sua. Ma strectissimamente ligata il stato suo in le delicate brace commendava, et nel albicante sino di Polia obside perpetuo et dedititia la obligava. La quale poscia cogitando, per delectabile semite et voluptici conducti perveniva alle archane delitie. Et d’indi cum tute mie excitate virtute in me ristrecto non poteva altro reasumere, se non una solacievole imaginativa, et gloriosa.