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La quale chosa la infeconda et ieiuna lingua non saperebbe né radunare né tante accommodate parole mendicare, che io condignamente valesse uno pauculo exprimere, quello che ne facesse il succenso core in tanta dolcissima fiamma, quanta che in omni parte lo obtexe. Remansi dunque quale della Epilepsia lapso. Ultimamente questi amorosi et sancti gesti et cerimoniali riti, in tanta singulare et eximia dolcecia et incredibile dilecto da amore expediti, io me ritrovai quasi in una inopinata experientia di morire contento. La Hierophanta disse. Prosequiamo Polia dunche al completorio de gli penetrali sacraficii dil nostro sacrale incepto. Hora verso il rotondo et ciecho Sacello, di directo all’incontro dilla porta dil magnifico tempio situato et cum esso artificiosamente colligato et contiguo, tute compositamente andorono. Di antiquaria et insueta factura et nobile materia fabricato. Il quale tuto de pietra alla forma diligentemente riquadrata era di pretioso Phengite mirabilmente extructo. Cum uno cupulato et rotondo tecto, di uno simplice et solido saxo dilla dicta petra. Quale non fue di tale miraveglia il Sacello di l’insula Chennim di Aegypto. Né quello dil celebre Sacro Ravennate. La quale petra di tale miraculosa natura, che non essendo finestrata ma tuta obtusa, et solamente le valve d’oro havendo per tuto chiaramente era illuminato. (Dalla nostra cognitione secreto absorpto da essa parente) et peroe chusì è denominata. In questo mediato due di quelle virgine exhonerate, et per praecepto ite, portorono cum sincera veneratione, una, uno paro di bianchissimi Cygni mascoli grati negli auspitii. Et una veterrima Irnella cum aqua marina. Et l’altra uno paro di candide Turturine per gli piedi in uno vinculate cum seta Chermea, sopra uno viminaceo Cartallo di vermiglie rose et scorcie di ostrea pieno, et apresso le auree valve sopra una sacra et quadriculata Anclabri disposita, divote et venerante riposino. o ii