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In una tabella di Magnete dextrorso del ingresso inscalpto era, di exquisite litere latine antiquarie, quel celebre Virgiliano dicto. Trahit sua quenque voluptas. Nel levorso la tabella vidi di veterrime maiuscule graece elegante inscripto. Παν δει ποιειν κατα την αυτου φυσιν. In latino. A ciascuno fare gli convene secondo la sua natura.
Solevando daposcia gli ochii curiosamente stimulati alla magnificentia di tanto Tempio, et alla vastitate della spectanda et celificata cupula, cum l’altre exactissime parte, de ambitione, et de praestante artificio. De divo excogitato, et de superba operatura, et mirandi liniamenti, de stupenda ostentatione, condito mirabilissimo. Et molto più mirabile iudicai la incredibile bellecia della diva Nympha, la quale illiceva gli ochii mei inspectanti, et tutto l’animo mio teniva. In tanto che dalla recta disquisitione, de qualunque consideranda parte de esso dimovere valesse, et sola essa trahendo coarctasse, a contemplare cum stupore et miraviglia. Dà venia dunque lectore, si omni particula condecente non havesse perscripto.
Et cusì dunque la sacra Antistite intrando el Templo cum la ingenua et praestante Nympha, et io pertinace sequentila, et cum tutte le altre sacre Damicelle, cum le uberrime capillature per gli lactei colli ornatissime cadente, vestite di electissima purpura, et di sopra riportate le tenuissime Gosapine più breve, o veramente curte del primo indumento. Al fatale orificio della mysteriosa cisterna divote et festive ne condusseron.
Nella quale, como dicto fue, altra aqua non intrava. Se non quella che per gli terebrati Pillastri dagli aquarii et compluvii dal fastigato Templo liberamente, senza pernicie della structura, intro se infundevano. La summa sacerdotessa quivi alle virgine fece nuto, et andorono in uno Adyto sacrario, nui tre soli rimasti.