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Anselmo prese amore all’eccellente vino vecchio del Reno della tavola dell’archivista e divenne più parlatore del solito. Allo scocco delle quattro, egli si alzò per ritornare al suo lavoro, e quest’esattezza sembrò far piacere all’archivista. Se tutto andava bene prima del pranzo fu ben altro di poi, egli non poteva comprendere la sua prestezza e la leggerezza della sua mano.

— Ma anche gli sembrava di udire una voce uscire dal più profondo del suo cuore, e dirgli distintamente queste parole: Ahimè! potresti tu dunque condurre a buon fine qualche intrapresa se essa non riempisse il tuo cuore ed il tuo pensiero, se tu non credessi in lei e nel suo amore? — Un soffio leggero sembrava attraversar l’appartamento e dirgli in suono cristallino: “Io son vicina — vicina, — vicina a te! — io vengo in tuo ajuto, — coraggio, — costanza, — caro Anselmo! io vengo in tuo ajuto, e tu sarai mio!” E mentre egli ascoltava, incantato, quei suoni deliziosi, i segni del manoscritto gli sembravano sempre più intelligibili. — Egli non aveva più bisogno che di guardare