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primo lavoro non gli sembrò molto difficile. Come mai queste zampe di mosca si sono mischiate alla mia bella scrittura inglese? Ciò è quello che sa soltanto Dio ed il signor archivista Lindhorst!” diss’egli, “ma possa morire se sono di mia mano.”
A misura che le parole si accumulavano felicemente sulla pergamena, egli raddoppiava di coraggio e di destrezza. Infatti si scriveva benissimo con quelle penne, e l’inchiostro misterioso scorreva nero come un corvo sulla pergamena d’una bianchezza abbagliante. Mentre egli lavorava così con zelo ed attenzione, ci trovava sempre più piacere nella solitudine di quel luogo, ed avea già preso gusto a quel lavoro ch’egli sperava di terminar felicemente, quando, al battere delle tre, l’archivista lo chiamò nella camera vicina, ove il pranzo era preparato.
A tavola l’archivista si mostrò d’un buon umore estremo; egli s’informò degli amici di Anselmo, il vicerettore Paulmann ed il registrante Heerbrand, e raccontò, principalmente a proposito dell’ultimo, una quantità di avventure piacevoli.