vano scherzare in riflessi brillanti sulla sua superficie ben levigata e raggiante. Qualche volta ei vi vedeva sè stesso — ahimè — colle braccia stese — sotto il sambuco; — Serpentina saliva e discendeva tra i rami dell’albero, e gli volgeva teneri sguardi. Anselmo non ne poteva più dalla gioia. “Serpentina! — Serpentina!” gridò egli ad alta voce, e l’archivista Lindhorst si voltò rapidamente verso di lui, e gli domandò: “Che dite voi, onoratissimo signor Anselmo? voi vi date la pena, cred’io, di chiamare mia figlia; ma essa è all’estremità della casa, nel suo appartamento, che prende lezione di pianoforte; andiamo più innanzi!” Anselmo quasi senza conoscenza seguì la sua guida; egli non vedeva, non udiva più niente, quando ad un tratto l’archivista gli prese vivamente la mano, e disse: “Eccoci!” Anselmo fu come risvegliato da un sogno, ed osservò che egli si trovava in una camera altissima, i muri della quale erano coperti di libri e di librerie, e che non offriva nessun divario dalle biblioteche e dai gabinetti ordinarj da studio. In mezzo eravi un grande scrittojo e accanto una sedia d’ap-