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solite baronate; ma la colpa è del signor studente istesso, poichè....” — “Silenzio! silenzio! gridò l’archivista, vecchio pedagogo; silenzio! io conosco da molto tempo quei bricconcelli, ma voi dovreste tenerli più in rispetto, amico mio! — Andiamo più avanti, signor Anselmo!
L’archivista attraversò ancora molti appartamenti adornati bizzarramente, e lo studente che lo seguiva poteva appena gettare un colpo d’occhio sui mobili preziosi di singolare struttura, e sulle altre curiosità delle quali la casa era piena.
Infine essi entrarono in una gran sala. L’archivista alzò gli occhi e si arrestò; e lo studente Anselmo ebbe tutto il tempo di pascersi del delizioso spettacolo offertogli dall’elegante semplicità del luogo. Lunghesso le tappezzerie turchine sorgeano delle palme col tronco d’oro che gettavano a volta le loro foglie gigantesche, brillanti come smeraldi. In mezzo alla sala riposava sopra tre sfingi egiziane di bronzo oscuro una tavola di porfido e sulla tavola un vaso d’oro di forma semplicissima, dal quale Anselmo, tosto che lo ebbe fissato, non potè più distorre lo sguardo. Mille figure sembra-