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incantata, e lo zefiro conduceva e dissipava ad ogni momento dei soffii di profumi deliziosi. L’archivista era scomparso, ed Anselmo non vide davanti a sè che un cespuglio gigantesco di gigli color di foco. Incantato da quella vista e inebbriato dai dolci profumi di quel giardino di fate, lo studente Anselmo restava immobile. Allora s’innalzò da tutte le parti un riso e un bisbiglio balordo, e piccole voci da flauto dicevano: “Signor studente! da dove venite voi? Perchè vi siete raffazzonato con tanta leggiadrìa, signor Anselmo? — Volete voi chiacchierare con noi? noi vi racconteremo come la nonna schiacciò l’uovo col di dietro, e come il fanciullino ne ebbe una macchia gialla sul suo abito da festa. — Sapete voi già l’aria nuova che vi insegna il papà Staarmatz! — Signor Anselmo! signor Anselmo! voi siete in verità molto ridicolo colla vostra perrucca di vetro ed i vostri stivali colle rivolte di carta sugante!” Quel riso, quel bisbiglio arrivava senza tregua da tutte le parti, e sembrava talvolta innalzarsi vicino allo studente che si accorse soltanto allora che una nuvola di bei piccoli uccelli