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manoscritti. Ma voi non venite mai a casa mia, e pure il registratore Heerbrand mi aveva assicurato che voi vi presentereste sul momento, ed ecco molti giorni che vi aspettai invano.”

Al nome d’Heerbrand, lo studente sentì di nuovo che i suoi piedi toccavano la terra, ch’egli era veramente lo studente Anselmo, e che davanti a lui stava l’archivista Lindhorst. Il tuono d’indifferenza con cui questi avea pronunciate le sue ultime parole, offriva un contrasto disaggradevole colle apparizioni ch’egli avea poc’anzi evocate, come un potente incantatore; e lo sguardo dei suoi occhi nascosti nelle orbite ossose della sua faccia magra e corrugata, che sembravano lanciar dei lampi dal fondo di due tetre caverne, dava alla sua fisonomia un carattere spaventevole, che fece rivivere nell’animo d’Anselmo quel sentimento di ansietà che si era impadronito di lui al caffè, quando l’archivista avea raccontate tante cose strane. Egli non si rassicurò che con gran pena, e solo quando l’archivista gli domandò per la seconda volta: “Ebbene! perché dunque non siete venuto da me!” egli potè finalmente ria-