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navano quando spensi la mia lucerna, ed andai dall’archivista Lindhorst, che già mi aspettava nell’anticamera. “Siete voi, — onoratissimo signore? — In fede mia, sono contento che voi abbiate cocosciute le mie buone intenzioni: seguitemi!” — Dicendo queste parole, egli m’introdusse attraverso il giardino che era illuminato in modo abbagliante, nella sala turchina. Entrando io riconobbi la tavola violetta alla quale Anselmo era solito di lovorare.

L’archivista Lindhorst scomparve, ma ritornò presto, tenendo in mano una bella Coppa d’oro dalla quale usciva crepitando una piccola fiamma cilestrina “Io vi porto” mi diss’egli “la bevanda favorita del vostro amico, il maestro di cappella Giovanni Kreisler. È l’arac, acceso nel quale, ho gettato un po’ di zucchero. Gustatelo, io caverò la mia vesta da camera, e mentre voi sarete là seduto scrivendo e guardando, io voglio per divertirmi e per godere della vostra aggradevole società, passeggiare nella vostra coppa”.

“Come volete, onoratissimo signor Archivista,” risposi; “ma quando vorrò