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dell’insufficienza d’ogni mia espressione. Mi sentii arrestato dalle miserie della vita meschina di tutti i giorni: io soffriva un mal essere assai strano, errava dappertutto come un uomo che sogna, in fine io cadeva come un secondo Anselmo, nello stato che ti ho descritto, o benevolo lettore, nella quarta Veglia. Il dispiacere mi faceva dimagrire, e mi consumava a poco a poco; quando percorrendo le undici Veglie che aveva felicemente terminate io pensava che non mi sarebbe forse mai permesso di aggiungervi la duodecima, vera chiave della volta: poichè, la sera, tutte le fiate che sedeva al tavolino per finire questo lavoro, io credeva vedere dei fantasmi maligni (erano forse i parenti, forse i cugini germani della defunta strega), che mi presentavano uno specchio di metallo lucido, nel quale mi scorgeva pallido, debole e melanconico come il registratore Heerbrand quando si era ubbriacato di punch. Io gettava allora la penna e correva in letto per almeno sognare del felice Anselmo e dell’amabile Serpentina. Questo mal essere durava già da qualche giorno, quando io ricevetti, con grande mia sorpresa, un viglietto