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della sera cullasse mollemente il fogliame; poi, come se gli uccelletti giuocassero tra i rami, e facessero battere le loro piccole ali inseguendosi con malizia. Poi fu un mormorio e un bisbiglio, e si avrebbe detto che le foglie dell’albero, risonavano come campane di vetro. Anselmo ascoltava... ascoltava ancora. Ecco che (egli non seppe come) quello strisciamento, quel bisbiglio, quel tintinnìo si cambiò in accenti dolci e deboli, che sembravano a metà dissipati dal vento.

Passiamo, — sdruccioliamo, passiamo sui rami, sdruccioliamo sui fiori; slanciati, cullati, allacciati. — Mia sorella, — mia sorella, bagnati nella luce, presto, presto, più in su, più in giù.

— Il sole dardeggia i suoi raggi, — il venticello della sera mormora con voluttà, — la rugiada brilla, — i fiori cantano...— Cantiamo, mie sorelle, cantiamo come i fiori, come i rami. — Le stelle stanno per risplendere, — bisogna discendere. — Passiamo, — sdruccioliamo, mia sorella, — slanciati, cullati, allacciati.

Così continuava il linguaggio delirante. Lo studente Anselmo pensò: non è però altro che il vento della sera che