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mavano un accordo pieno di passione e di melanconia. Gli uccelli beffardi, che la prima volta lo avevano tormentato, volavano attorno alle sue orecchie, e gli gridavano senza stancarsi con una piccola voce aspra ed acuta: “Signor lo studente! signor lo studente! non correte tanto! — Non guardate così le nuvole, — voi potreste cadere a faccia per terra. — Eh! Eh! signor lo studente! — mettetevi dunque il vostro rocchetto, mio compare il barbagianni vi pettinerà il tupè.” Questi discorsi ridicoli continuarono, finchè Anselmo lasciò il giardino.

Alla fine l’archivista Lindhorst entrò nell’appartamento azzurro; il porfido e il vaso d’oro erano scomparsi. Nello stesso posto eravi una tavola coperta d’un tappeto di velluto violetto; Anselmo vi trovò tutto il necessario per iscrivere; una sedia d’appoggio ricoperta come la tavola sembrava non aspettar più che lui. “Caro signor Anselmo, disse l’archivista Lindhorst, voi avete sin adesso copiato più d’un manoscritto prontamente, con esattezza e con mia intera soddisfazione; voi avete acquistata la mia confidenza; ma il più importante è ancora