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più variabile ancora un carattere già troppo incostante. Hoffmann infiammava ben anche l’ardore del suo genio con frequenti libazioni, e la sua pipa, compagna fedele, lo inviluppava in un atmosfera di vapori. Il suo esteriore stesso indicava la sua irritazione nervosa. Egli era piccolo di statura, e il suo sguardo fisso e selvaggio che sfuggiva attraverso ad una folta capellatura nera tradiva quella specie di disordine mentale di cui sembra aver avuta conoscenza egli stesso, quando scriveva sul suo giornale questo memorandum che non si può leggere senza un movimento di raccapriccio: “Perchè nel mio sonno come nelle mie veglie i miei pensieri si portano sì sovente e mio malgrado sul tristo soggetto della demenza! Mi sembra, lasciando libero il corso alle idee disordinate che s’innalzano nel mio spirito, ch’esse mi scappino come se il sangue spicciasse da una delle mie vene che venisse a spezzarsi.”

Alcune circostanze della vita vagabonda di Hoffmann vennero anche ad accrescere i suoi timori chimerici di essere improntato con un sigillo fatale che