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mie arterie. Era Donn’Anna, senza alcun dubbio Donn’Anna. Non mi venne neppure in mente di discutere la possibilità della sua doppia presenza nel palco e sulla scena. Con quanto piacere riporterei io qui il discorso che seguì tra la signora e me, ma nel tradurlo ogni parola mi sembra troppo aspra e troppo pallida, ogni frase troppo pesante per esprimere la grazia e la leggerezza dell’idioma italiano.

Mentre ella parlava del Don Giovanni e della propria parte, mi pareva che tutti i tesori segreti di quel capo lavoro mi si rivelassero, e che io penetrassi per la prima volta in un nuovo mondo. Ella mi disse che la musica era l’intiera sua vita, e che sovente cantando ella credeva comprendere alcuna cosa, che giaceva ignorato in fondo al suo cuore.

— Sì, diss’ella, coll’occhio scintillante e colla voce piena di anima, sì allora io comprendo tutto; ma tutto resta freddo e morto intorno a me, e quando invece di sentirmi, d’indovinarmi, mi applaudono per un gorgheggio difficile, o per una fioritura aggradevole, parmi che una mano di ferro venga a stringermi il cuore.