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di frate guittone d’arezzo 85


e se soave e piano
umile Dio temendo alcun se trova
che non baratto mova,
misero, vile, codardo è tenuto;
45per che d’offender lui vago è catuno,
e soi vicin tutti peten trebuto.
     Ma non galea alcun tanto, né mira,
né davante se tira,
non segualo penser noia ed affanno:
50soperbia, cupidezza, invidia e ira
tanto no volle e gira,
che nostre menti poso alcun non hanno.
Vergogna porta e danno
e travaglio vi ha piú chi piú ci tene,
55e mal vi ha piú che bene
chi piú ci ha di piacere e men di noia;
ch’onne mondana gioia,
tarda, corta, leggera, è de nòi mesta;
la fine, u’ pende tutto, è sola doglia.
60Ma noia è sempre presta,
lunga, grave, e sol ha fine a morte!
Ov’è solazo in corte,
u’ poso in zambra, u’ loco, u’ condizione,
ove, quando stagione,
65dove puro piacer paresse un punto?
Legno quasi digiunto
è nostro core in mar d’ogne tempesta,
ove pur fugge porto e chere scoglia,
e di correr ver morte ora non resta.
     70O struggitor di noi, se qui è gravezza,
ov’è donqua allegrezza?
Forse ’n inferno, ove corremo a prova?
E siem piú stolti ch’apellam stoltezza,
se de tanta mattezza
75alcun si parte, poi veritá ritrova;
e mirabile e nova