Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
di frate guittone d’arezzo | 63 |
40com’è vertá da noi tanto fallita,
ch’ogne cosa di vizio è noi piacere
ed ogne cosa de vertú gravezza?
Giá filosofi, Dio non conoscendo,
né poi morte sperando guiderdone,
45ischifar vizi aver tutta stagione,
seguendo sí vertú, ch’onesta vita
fu lor gaudio e lor vita.
Noi con donque può cosa altra abellire,
che ’n vertú lui seguire,
50lo qual chi ’l segue ben perde temore?
Ché non teme segnore,
morte, né povertá, danno, né pene,
ch’ogni cosa gli è bene,
sí come noi è mal, non lui seguendo.
55Pugnam donque a valer forzosamente;
no ’l ben schifiam perché noi sembri grave;
ch’orrato acquisto non fue senza affanno;
e se l’om pene per vertute sente,
ne’ vizi usar sempr’è dolze e soave,
60che spesso rede doglia onta e danno.
Ma ciò ch’è ’n noi contra talento e uso
n’è grave, e n’è legger ciò ch’è con esso,
ch’uso e voler, ch’avemo nel mal messo,
ne ’l fa piacere, e despiacer lo bene.
65Adonqua ne convene
acconciare a ben voglia ed usanza,
se volem benenanza;
ché non è ben, se da ben non è nato,
e onne gioi di peccato
70è mesta con dolore, e fina male;
ed onne cosa vale
dal fine suo, che n’è donque amoroso.
Come a lavorator la zappa è data,
è dato el mondo noi: non per gaudere,
75ma per esso eternal vita acquistare;