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annotazioni ai sonetti ascetici e morali | 375 |
232. Il ms. A attribuisce questo son. a Chiaro Davanzati. Lo pubblico qui per l’autoritá del ms. B; ma forse è da assegnare a Chiaro, anche perché esso si legge in B nell’ultima parte, dove si raccolgono sonetti di autori diversi, laddove esso si trova in A in un gruppo notevole (nn. 545-602) di sonetti tutti di Chiaro. Nel ms. A al sonetto è aggiunta una coda, che dice:
Però se carta impetro |
233. In risposta al son. di Meo Abbracciavacca pubbl. dallo Zaccagnini (Pistoiesi, p. 12). Il senso par questo: Dio è tanto degno d’esser servito, che può stimar nulla chi piú lo serve; e trovo sia tanto grave ingiuriarlo, che può non soddisfare chi meno lo ingiuria. Non ha il buono un segno certo per la sua speranza, e cosí non deve il reo disperare di Dio. Misericordia è il maggior regno ch’abbia il buono e il non buono per aver fiducia. Sono d’accordo Giustizia e Pietá e ciò che l’una vuole, l’altra lo desidera da Dio, poiché Giustizia non condanna mai l’uomo che poi si pente, né pietá perdona, quando permanga la malizia. La Giustizia vuole e sa a chi deve conceder pietá e questa punisce («puna») con lei, cioè con la Giustizia, chi duramente nuoce.
v. 13: «e sa»; il ms. «essa», per la nota grafia. Il Meriano: «essa», e spiega: «La Giustizia vuole quella Pietá che deve (cioè: che è giusto concedere)».
234, 235. Tenzone con messer Onesto. Seguo il ms. F per l’ordine dei sonn., giudicando quello di Onesto una risposta a Fra G. e non viceversa. Il son. di Onesto è in Zaccagnini, Rimatori bolognesi, Milano, 1933, p. 124.
236. Ho tolto le caratteristiche venete del ms. Q, unico («falbo, richeza, deletanza, falire, vezo, nasesi, nula, zire, ti, zorno, teristi, alegranza»).
v. 9: «stessi» è correzione apportata al ms. da Nicolò de’ Rossi che lo possedé. Il De Rossi si preoccupò evidentemente dell’assenza della rima. Si tratterá forse di lezione guasta che peraltro non si saprebbe come emendare meglio di quel che abbia fatto il De Rossi.