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374 nota


v. 14: «Seguita». Se il senso fosse sicuro, sarebbe forse da emendare: «Seguit’ho», per toglier la sconcordanza col «voi» del verso precedente.


221, v. 11. Mi sembra che qui sia istituito un paragone tra quella «tale» ed Elena. Il verso non è certo chiaro; ma lo è ancor meno nella lezione del Val.: «Per tal che ben piú valse e lena alquanto,».


223. Manca nel Val. che ha voluto forse evitare le enormi difficoltá d’interpretazione che il son. presenta, e per le quali è forse azzardato dare una spiegazione qualunque.


224, v. 2: «a le centre» non capisco; il Val.: «al ventre».

v. 8. Verso oscuro. Il ms.: «dete che grande acor picciulon uentre». Il Val. emenda arbitrariamente: «Che a grande picciol uom fa che sottentre».

v. 9. Il Val. emenda: «Ma che te mosse almeno a saver abbo».


229, vv. 5-7. Versi oscuri, ai quali non saprei dare un senso soddisfacente. Dal modo come ho risolto «enonbene» del v. 5 e «como saggialdo dere» del v. 7, si potrebbe forse intendere: la mia piccolezza («picciuol» inteso come neutro) sta nel compiere il «non bene», cioè il male, dove (sta invece) la ragione del vostro onore. Il vostro è grande cosí che uomo lo saggia di udire, cioè che si prova udendolo, è «vox populi». Il Val.: «como saggio altro dere», spiegando «dere» per «dire».


230. Il sonetto è rivolto a Meo Abbracciavacca, che rispose col son. «Vacche né tore piò neente bado», che si può leggere tra i Poeti pistoiesi dello Zaccagnini a p. 11.

v. 7: «sono»; il ms.: «sontu». Volendo conservare la lezione del ms. si potrebbe leggere: «Allegro son; tu, Meo, che se’ tornato; se pelegrin fusti, ciò m’è a grado».

v. 12: «ten», cioè forse: «tieni».

v. 13: « ’n un»: il Val. «nun», che spiega: niun.


231, v. 3: «nomino, ma»; oppure forse: «no mi noma».