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annotazioni ai sonetti ascetici e morali 371


v. 13 seg. Intendo: perciò cercate che ciascuna parte (borgo) di essa riesca a limare per mezzo delle vostre correzioni ogni imperfezione.


205, v. 2: «m’archi»; cosí il Monaci propone di risolvere il «marchi» del ms., intendendo: mi tiri, mi lanci.

v. 3. Cioè: il saggio non ode volentieri la sua lode, anche se chi loda in tutto marchi (cioè segni, noti) giustamente. E perciò il cuore non ardisce lodar te, ancorché tu meriti lode e marchi lode. Quest’ultimo «marchi» è dal Monaci spiegato come voce del vb. «marcare», coniare, battere.

v. 8: «marchi». Il Mon.: plur. di «marco», moneta, o di «marco» da «martulus», martello. Ma la parola dovrebbe avere un significato opposto a quello di «saggi»: che significhi «somari»? Cfr. «Arri, marco!».

v. 12: «dicimi», cioè: mi dici.


206, v. 1. Intendo: Si può un poco scusare chi parla con sicurezza di cosa ecc.

v. 7: «guer mo», cioè: guari adesso.


207, v. 8. Intendo: non amo che ferro tocchi il mio corpo.

v. 9 segg. Intendo: È necessario che ognuno raccolga quel che ha seminato; il cattivo seme ha prodotto il cattivo frutto, perché cosí fu seminato in principio. Ben fa ciascuno che teme ciò che può venire, non ciò che fu nel passato, e ne vorrebbe insieme vedere la semenza per il bene comune.


208. Su questo son. inviato dal giudice Ubertino, che fu podestá di Arezzo nel 1249 a G. e sulla risposta seguente v. Eg. Guitt., pp. 37, 38.


211, v. 1. Il conte Gualtieri, al quale è diretto il sonetto, è forse lo stesso, cui si fa cenno nella canz. XXIX, v. 211 . Si noti la «replicacio»: conto... Conte... conta. Anche questo sonetto si riferisce al momento della conversione ed espone il concetto stesso dei vv. 36-38 della canz. XXVII.

v. 5: «homi», cioè: ho per me, ritengo sia per me.

v. 9. Intendo: né a me né a te è lecito servire al di fuori di Lui, cioè del Signore, di Dio.