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ANNOTAZIONI AI SONETTI ASCETICI E MORALI
139. Comincia con questo bel sonetto la serie dei sonn. ascetici e morali. I primi sono sonn. doppi (nn. 139-159).
v. 11: «apprende nel m.», cioè: s’apprende. La lez. è tratta dal ms. B; A: «accendi nel m.».
v. 15: «onni via», cioè: tuttavia.
v. 18. Intendo: se dovrò mai sapere che il mio cuore ti possiede, e gode d’aver la tua ricchezza, oh, accada subito!
140, v. 2: «fusse»: se la forma rappresentasse soltanto una particolaritá del ms. B, qui unico, si sarebbe potuta anche sostituire; ma «fusse» doveva pur essere forma dell’uso guittoniano, sebbene men frequente e la troviamo anche in rima (canz. XVI, 23). Qui c’è però anche da dubitare che s’abbia una lezione errata, in luogo di «fasse», cioè «che ciascuno fa sé debitore ecc.». Il senso comunque par questo: «esser debitore d’amore è la sola virtú, e solo vizio è in colui a cui s’addice, cui appartiene l’odio». Pel Val. il «che» del primo verso varrebbe «a cui».
v. 4: «vertú dea»; vien fatto di sospettare che la lezione esatta sia: «vertude è», ma nell’un modo o nell’altro il senso è che la virtú sta nell’amare il buono anche nel nemico e nel disamar se stesso in quanto sia preso dal vizio.
v. 10: «tuttore», ma forse è da dividere «tuttor è».
v. 19: «savere», cosí il ms.; il Val. emenda: «parere»; ma forse dallo stesso verbo «savere» si può trarre un’accezione simile: «Come può sapere, aver sentore di grande chi è in potere del vizio, o come gentile chi è figlio del serpente infernale?
vv. 21-22. Versi oscuri. Penso che ironicamente, dopo aver accennato a chi è figlio del serpente infernale, il poeta domandi: e può mancar qualcosa a chi è figlio ed erede e signore?