Pagina:Guittone d'Arezzo – Rime, 1940 – BEIC 1851078.djvu/349


annotazioni ai sonetti d'amore 345


19, v. 1 seg. Intendo: Verso di lei, fiore di bellezza, io sono stato, come ogni altro uomo, finto e, ora, assai piú tale che amante; e tanto le sono andato intorno con preghiere ecc., che mi promise... Potrebbe anche leggersi: «Si como ciascun omo è ’nfingitore e, ora, ecc.», oppure, come fa il Pell.: «Si corno ciascun quasi enfingitore è ora, maggiormente ecc.», intendendo: come ciascuno è ora (cioè ai tempi nostri) assai piú disposto a fingere che ad amare, cosí sono stato io ecc.

21, v. 6: «ch’eo», oppure secondo B: «ch’e’»; il Pell.: «che». A parte il valore transitivo o intransitivo del vb. «innamorare» (cfr. son. 28), che qui non si debba intendere: «he l’anima mia debba innamorarsi, ma: che io debba innamorare l’anima mia, mi par dica chiaro la lez. di A: «ch’io degia».

v. 10: «amare», è da intendere come sostantivo: a quell’amore, che voglia prendere e donare secondo giustizia.

22, v. 1. Il Pell. spiega: se vero è che ecc.; ma mi pare che, anche in relazione al «ragion n’hai» del v. 4 sia da intendere: se c’è ragione, causa («cosa») perché tu ecc.

v. 6: «fedeltá», cioè: sicura promessa.

v. 8: «grande», cosí il ms.; ma il Val. e il Pell. per la rima corressero: «grante».

v. 10 segg. Il Pell.: «e che perd’ e’ diritto: parme che falla, e prender me defendo [per]ché ’n me ecc.» e spiega: «e che perdo diritto di ottenere per l’avvenire: ma sbaglia, a mio parere, chi ciò afferma ed io mi proibisco di nulla prendere perché ecc.»; il Pellizz. (p. 281) propone: «e che perd’ e’ diritto: parme che falla e prender me defendo; È che ’n me ecc.», intendendo: «e perdo il diritto (ai favori della donna), prima che mi venga a mancare da se medesimo, e mi vieto di prendere. Egli è che in me ecc.». Il senso mi sembra questo: Or si dirá che son folle se non prendo ciò che posso avere e che io perdo il diritto prima di commettere la mancanza. Io però mi difendo, mi guardo dal prendere, dall’approfittare, perché ecc.

v. 14: «en cortesia», è felice emendamento del Pell. del «e nonsesia» del ms.

23, v. 9 segg. Il senso è: è doloroso vedere che un uomo piacente ama una donna brutta e questa non lo ricambi ed anzi esso le dispiaccia.