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344 nota


diede a questa mercé natura cosí graziosa, ecc.; ma a me sembra che qui debba continuare il concetto della prima terzina, nella quale, a riprova del potere di «mercede», è detto che per essa la sua donna è diventata pietosa da crudele che era, e — continua — la ridusse, la Dio mercé, cosí graziosa, ecc. Accolgo pertanto la lez. di A.


12, v. 12 segg. Intendo: non foste voi opera della natura, ma dello stesso Dio, che vi fece direttamente, cosí come fece Adamo ed Eva.


13, v. 7. Seguo la lez. di A ed intendo: ché io mostro me stesso prima che l’esperimento; cioè: prima che egli stesso ne faccia esperimento, gli presento come prova me stesso, in quanto io avevo ecc.

v. 13: «vince». Il Pell., seguendo B: «vencen». Par naturale che il soggetto debba esser «potenza».


15, vv. 9-11. Cosí il Pell., il quale però, nelle aggiunte (p. 361) dichiara «piú verosimile» la forma «anoia» o «inoia» «in senso neutrale, anche per confronto col verso precedente». Ma a me sembra che una coordinazione sia indispensabile tra «ha noia» e «par forzato». Il senso è: il servo s’affanna ed erra nel chiedere e il signore ha noia e par forzato a concedere, tanto che il premio che egli poi concede non gli conferisce l’onore che viceversa gli verrebbe da una concessione non sollecitata.


16, v. 1 segg. Intendo: Stia attento alle mie parole chiunque per avanzare desidera restar servitore: il signore deve avere due qualitá: conoscenza e potere.

v. 7 seg. Cioè: chi riconosce il servizio come può rimeritarlo se non ha mezzi? E chi è ricco piú di quanto egli stesso desideri come lo fará se è sconoscente?


17, v. 5: «che face». Il Pell., conforme a B: «E i face», cioè: e le fa da buon servo. Seguo A perché credo che qui s’abbia «che face» coordinato a «che mette» del v. 2.


18, v. 2. Si richiama al son. 16.