Pagina:Guittone d'Arezzo – Rime, 1940 – BEIC 1851078.djvu/328

324 nota


v. 116. Tanto seguendo A: «Ma s’io fosse», che B C I: «Or s’eo fosse», il v. risulta mancante d’una sillaba. Seguo il Val., sebbene sarei tentato di proporre: «Ma s’eo pur fosse».

v. 141. Cioè: se ho fatto a me il dono di seguirti.

v. 151 seg. Mi sembra che il poeta voglia qui porre in contrasto la bontá e misericordia divina con la sua colpa: allevato appena, io mi posi subito contro di te e tu mi difendesti; io seguivo i tuoi nemici ed ogni altro male, e tu m’hai tratto dal luogo di perdizione in salvezza e santitá; tu ora mi rendi molto gioioso e m’allontani a tuo piacimento da ogni bruttura e dici, prometti, di coronarmi in seguito e farmi beato ed esaudire in eterno ogni desiderio. I benefici riguardano il passato, il presente ed il futuro; perciò al v. 142 aveva detto: «tanto m’hai fatto e fai e mi dei fare».

v. 169. Cioè: non danno certo, ma vantaggio («prod») si ha nel persistere in te.

v. 178. Il v. è mancante d’una sillaba. Il Val. emenda: «O capitano ecc.». Quella dei Tarlati di Pietramala è tra le piú nobili e potenti famiglie del contado aretino. Tra i piú famosi del tempo di Guitt. furono il vescovo Guido Tarlato e il fratello di lui Pier Saccone, che furono anche signori d’Arezzo: Tarlato fu capitano del popolo nel 1266. Cfr. C. Lazzeri, Guglielmino Ubertini vescovo d’Arezzo e i suoi tempi. Firenze, 1920, p. 299.

XXXIII. v. 4. Il Val. non s’è reso conto della metrica e riduce il v. 3 a endecasillabo ed il v. 4 a settenario. C’è nei primi quattro versi delle cinque stanze qualche oscillazione, ma tra l’ottonario e il novenario. Salve le eccezioni, quali ai vv. 21 e 62, in genere i primi due versi sono, come qui, ottonari e gli altri due novenari.

v. 8: «orto». Ho preferito questa lez. di A a «corte» di B, sia per la miglior rispondenza con le espressioni precedenti e seguenti, sia perché in se stessa piú chiara e spontanea: giardino di delizie.

v. 9. Dovrebbe essere un endecasillabo; ma non oso emendare.

v. 22. Il v. riecheggia la frase che contro gli Aretini avrebbe pronunciato, secondo le cronache, Federico II nel 1240, dopo una breve sosta in Arezzo: «Arca di miele amara come fiele, verrá gente novella goderá questa terra».