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annotazioni alle canzoni ascetiche e morali | 315 |
v. 39. Il Val. per evitare l’ipermetria, cambia il «riccor» dei codd. in «cor». Senza variare la lez. concorde dei mss., si potrebbe troncare «poveri» in «pover». Lo faccia il lettore: io credo di dover conservare l’ipermetria, che gli antichi non evitavano nella scrittura, ma correggevan leggendo.
v. 60: «rede», cioè: risulta. I mss. B I: «torna», cioè: «torn’a»; C e il Val.: «rende».
v. 70: «fina», cosí B; tutti gli altri mss.: «fine». Il senso è peraltro chiaro: Finisce male. Il verbo «finare» è frequente: cfr. in questa stessa canz. al v. 5.
v. 79. «Emprima» è di A; B I hanno: «che pria» e C.: «e piú». Invece «amò» è lez. dei mss. B C I, laddove A legge: «n’ama». Il perfetto è consigliato anche dai tempi dei verbi seguenti: «desamammo... demmo... raccattonne».
v. 94. Tra la lez. dei mss. A C: «neiente feci me, tu mi ricrii» e quella dei mss. B I: «peccando isfeci me, tu me recria» non esiste divario profondo di senso: ‛mi son ridotto a nulla’, dice l’una; ‛mi son disfatto nella colpa’, dice l’altra. Parrebbe tuttavia piú logico attenersi alla prima, poiché il concetto della deviazione verso la colpa è come precisata nei vv. seguenti. Del pari mi attengo ad A C per la forma dell’indicativo del vb. anziché dell’imperativo od ottativo, poiché non vuole qui il poeta esprimere un desiderio, ma fare una constatazione; il desiderio, se ci fu, è giá appagato: «ciò m’ha conceduto... la tua bonitate».
v. 100: «servir»: anche qui seguo A C di contro al «pregiar» di B I, perché col verbo «servir» s’ha un crescendo dalla lode all’amore e da questo al servire, secondo le buone regole di cortesia.
v. 110: «tornare», cioè: che il buon principio volga a male.
XXVII. v. 1: «vergogni» è di tutti i mss., eccettuato B, che seguito dal Val., legge «vergogna».
v. 2: «sbaldisca» è lez. di A; B I: «conforto»; C: «conforti».
v. 7. Cfr., per il valore di questo verso, Eg. Guitt., pp. 10, 11.
v. 9. Il ms. A legge: «e venni ingrotto, lebroso ed enuto»; B, C e, su per giú, I: «e venni in loco infermo pover nuto». Poiché per «nuto» = nudo, si ha la stessa lez. in B, fuori rima, al v. 70, sará da preferirlo, tanto piú che non sarebbe facilmente spiegabile la forma «enuto» (forse: ‛ernuto’ = ernioso?), e, quanto al senso, sarebbe inutile una enumerazione di malanni,