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annotazioni alle canzoni d’amore | 299 |
riso, sperare qualcosa dall’amica piuttosto che averla, perché dopo che l’ha ottenuta, non ne ha una sola briciola, in confronto di quel che sperava averne; e dall’estate piomba nell’inverno. So che il mio dettato sembra oscuro; ma so anche che parlo a chi si intende con me, e che il mio ingegno mi dá modo di provarmi in ogni maniera, e ne ho voglia. Muovi subito, o canzone, e va in Arezzo a lei, da cui tengo ed ho se mi provo in qualcosa di buono (il Pell. invece: ...ho quel poco di bene (merito?) che è mio, se pure ne ho alcuno); e di che son pronto, se vuole, di tornar su, cioè, forse, in Arezzo (ma il Pell. spiega il «so» finale come «suo»).
XII. Sull’interpretazione di questa canzone, che lo stesso ms. B definisce «quivoca», s’è giá esercitato l’acume del Pell., il quale trasse anche profitto dal precedente tentativo del Monaci (p. 170).
vv. 1-9. Una giusta ragione mi ha porto voglia di dire, poiché la mia donna m’accoglie e mi conduce a porto: mi fa giungere a tutto ciò che mi piace. Il suo senno non è morte per me, ma porta di vita dolce, dove mi pasco e diverto, perché mi diede tanto opportunamente un rifugio nel mare tempestoso, che vuole che io per lei porti la mia vita e faccia sí che di lí la apporti. Ed io cosí fo, purché le piaccia e le comporti. I vv. 7-8 sono cosí spiegati dal Pell.: «che vuole (forse vuolsi, conviene) ch’io d’ora innanzi porti la mia vita per lei (mi dichiari debitore a lei della mia vita) e «l’inde faccia porti». Al v. 8 egli legge appunto: «e l’inde faccia porti», laddove il Monaci ricavava dall’«inde» del ms. B, con lieve emendamento: «lui de»: «e lui de faccia porti»; ma non capisco che significazione potrebbe avere.
vv. 10-18. Essa è tanto dolce, amorosa e saggia, che non si può far altro che decantare il suo pregio, perché conta chi sa amare: assai piú d’ogni altra si valuta lá dove deve esser valutata. Perciò non posso giá mettere in conto (raccontare) la gran gioia che ho, perché di sé mi tien conto (mi tiene informato?); ma desidero che mi annoveri tra i suoi, perché a me piace piú, è dei piaceri piú sicuri, esser servo a lei, piuttosto che signore di conti. La lezione del v. 12 è quella stessa del ms. B accolta dal Monaci, il quale al v. 13 legge: «lá unde cont’esser conta». Il Pell.: «... perch’a marchisa e conta piò ch’altra, assai laude contar se conta» e spiega: «per cui contar laude (il dir lode, la lode) si