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ANNOTAZIONI ALLE CANZONI D’AMORE

I. v. 30. Il Pell., ponendo punto e virgola dopo «sofferire», continua: «ma che lo meo guerire è stato co’ schermire» e spiega: «Se non che io resisto, schermendomi con ogni mia possanza dall’impeto di questa gioia»; ma non vedo come questa spiegazione possa derivar da quella lezione. Ci sembra che i due versi significhino: Avrei potuto morire di gioia. Ma che? Mi son salvato, la mia guarigione è avvenuta schermendomi.

v. 36. Il senso è: quando m’avvedo che la gioia sovrabbonda, immantinente mi accorro, vengo in aiuto e soccorro con un dolore, cioè a dire contrapponendo alla gioia un dolore, quello che io credo sia maggiore della gioia stessa.

v. 60. Per la lez. di questo verso v. Not. I.

v. 75: «ché zo volete». I prec. editori, uniformandosi al ms. C: «ciò (zo) che v.». M’allontano da loro e, seguendo i mss. A B I e richiamandomi ai vv. 66 e 68-69, intendo: fatemi voi (come vi pare) perché ciò che voi volete è anche la volontá mia appunto secondo le leggi della perfetta amicizia. E continua: (se non potrò rimeritarvi) mi è di conforto il fatto che il servo può tanto più esser utile, quanto piú è tenuto in alto dal suo signore. Quanto all’Autore esso è senza dubbio Sallustio (Cat. cap. 20); ma il Nannucci (Manuale I, 167) forse non a torto pensò che G. abbia conosciuto quel passo attraverso S. Gerolamo.

v. 84. Il Val e il Pell. hanno: «ché voglia e fe’ tal dia fatto v.»; e il Pell. spiega: «perché buona voglia congiunta a fede sincera deve valere a lui tal fatto; cioè: voglia e fede devono insieme cospirare per valergli (fargli meritare e ottenere) il fatto suesposto, che è l’assunzione alla grazia di Dio». Seguo la lez. del Torraca (Manuale I, 43), il quale spiega: «nella magione di Dio non entra l’uomo, a parer mio, solo perché faccia ciò che è prescritto, ma