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260 | sonetti ascetici e morali |
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Ad un amico che, arricchitosi, non gli risponde piú.
Se non credesse dispiacere a Dio,
malederea el giorno e ’l mese e l’anno
che voi ricco veniste, amico mio,
4che nòi m’addusse adesso e giunse danno.
Ché, mentre povero fuste com’io,
non giá parlarmi vi sembrava affanno;
ma tanto poi riccor v’inlegiadrío,
8lettere mie da voi non respost’hanno.
Se toller me amico riccor dia,
non degni Dio che mai ricco devegna:
11onor d’amico piacenter mi sia.
E se pur ricco farne alcun ne degna,
degni partirme ogni piacenza mia,
14sí che memoria mai di lui non tegna.
226
A don Zeno, che gli fu troppo ricco di lodi.
Picciul e vile om grande e car tenire,
e chi non val contar di gran valore,
è losinga, o gabba, o mal sentire,
4o molta otulita, o troppo amore.
E voi, Don Zeno, caro mio bon sire,
se me mettete onni cos’a lausore
che de me e del mio deame sortire,
8ha giustizia via piò onta ch’onore.
Lausenger, gabbador e nesciente
creder voi giá non posso né oso
11contra diritto e contra oppinione.
Resta donque oramai che solamente
umilitá, core troppo amoroso
14obbriò voi in me laudar ragione.