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246 | sonetti ascetici e morali |
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La fortezza.
D’animo tu bona vertú, fortezza,
chi degno ben laudar po tuo valore?
Non piò soavitá pregi d’asprezza,
né temi povertá piò che riccore.
5Non mai vizio seguire ètte dolcezza,
ní vertú forte è ben portar dolore;
in morte, s’è mister, prendi vaghezza,
né cosa mai che vizio hai ’n timore.
Tu pilastro de Giobbo e di Tubia,
10tu d’amadori scudo, und’è vittora
che non piò re che grilli in timor hai.
Pacienza, costanza e baronia
sempre per te in cor d’om se lavora,
e laido quanto senti, in lui desfai.
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La giustizia.
O tu, giustizia, d’onestá sprendore,
non parte de vertú, ma vertú tutta,
in te vertú e bon tutto tuttore,
nel tuo contraro onni malizia addutta.
5Non bon ne’ rei for te viver po fiore:
poder, corp’e spirito in tuo ben frutta;
raina de vertú tu, non timore
di cos’hai, né de Dio, bene condutta;
ch’a Dio, ad omo e a catuna cosa
10rendi che dei in tempo e in ragione,
ché dirittura ètte sol amorosa.
De’ debili tu retta e tu campione,
in cui fortezza onni lor pace posa,
tu freno a forti e tu sor lor bastone.