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di frate guittone d’arezzo | 231 |
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Il soverchio è quel che nuoce.
Gioncell’a fonte, parpaglione a foco
per ispesso tornare si consuma:
favilla de desdegno a poco a poco
soave core di forore alluma.
5A chi lo male altrui si conta a gioco,
a quando a quando sua faccia s’agruma,
l’ultim’att’è, se mante volte noco,
che Dio parte l’argento da la sciuma.
Omo po tanto salutare altrui,
10che salutando fasselo nemico;
maggioremente donque, se lo fere.
Soverchio, pare, è quel che destrui
la bona volontate de l’amico
per l’oltragiose cose che sofere.
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Perché non si serve Dio come converrebbe.
Lo gran desio face allegerare
cosa, che molto grava a la fiata;
addonqua per lo molto addisiare
la cosa grave pare allegerata.
5Provasi per esempro d’ucellare,
o d’altra cosa molto disiata,
che fa lo core tanto confortare,
che disiando compie la giornata.
E però, se la cosa dura e grave
10abbellisce lo cor e attalenta,
no gli è nessuna pena a soferire.
Ad uno pare paglia ad altro trave;
e però no se spande la sementa
come se convenera, a Deo servire.