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216 | sonetti ascetici e morali |
Per che nulla prod omo orrato sia
fuggir mai piú né pria,
che lui non tocchi error pregio né mente.
10Ahi, che gente gent’om mi sembra stia,
che puro, fedel, bon sia,
se tutto pecca e corre a mal sovente.
Valent’om dea l’altrui vizio celare
e la vertú laudare;
15e spezialmente po greve scudieri
despregiar cavaleri,
né cavaler baron, né baron ree,
se tutto ’n vizio alcun sentelo stare.
Come donque biasmare
20pote degno Dio alcun misteri,
rio n’avendo pensieri,
u solacciando, u’ laidir poss’om fee?
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La ricchezza non appaga e non dá pace.
O frati miei, voi che disiderate
e di gran cor pugnate
in arricchir di van pover riccore,
primamente non poco a Dio peccate,
5se tutto procacciate
for dislealtá e for follore;
e corpo troppo sovente affannate,
e, se talor posate,
tempest’ha dentro, giorn’e notte, core;
10e arricchendo piú, non piú pagate,
ma, dove piú montate,
piú pagamento scende e cresce ardore.
E provis’è ciascun, s’è men pag’ora,
e piò travagli e cor’ha
15con molto suo, non giá fece col meno;
ond’aver sacco pieno
e voito core, carco è, non aitora.