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206 | sonetti d’amore |
134
Si duole d’Amore che ha diviso il cuore dall’alma.
Doglioso e lasso rimase ’l meo core
poi che partiste, dolce rosa aulente,
da me, che stato vi son servidore,
e sarò sempre, a tutto ’l meo vivente.
5Sí che blasmare mi posso d’Amore,
che di tal pena mi fa sofferente,
e con gran doglia ha fatto partitore
il cor dall’alma, ch’è tuttor presente;
ed ha lassato il corpo quasi morto,
10che va e vene, ma non po parlare;
ed ogn’om guarda, né vede chi sia.
Ma par che viva come legno torto,
poiché non posso in me piú ritornare,
se non redite, dolce spene mia.
135
È in ginocchio davanti alla donna: vuole emendare il suo fallo.
Se di voi, donna, mi negai servente,
però ’l meo cor da voi non fu diviso.
Ché san Pietro negò ’l Padre potente,
e poi il fece aver del paradiso;
5e santo fece Paulo similmente,
da poi santo Stefano ave’occiso:
però non disconforto la mia mente,
ancora d’amar voi non fui sí acceso.
Com’io sono ora, fui ed esser voglio,
10né contrafare mai lo simigliante,
infino che mia vita avrá a durare.
E dell’offese forte pento e doglio;
in ginocchion mi gitto a voi davante:
lo meo fallire sono per mendare.