Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
200 | sonetti d’amore |
122
Proprio mentre crescon le bellezze della donna vien meno la sua fortuna.
Doglio e sospiro di ciò che m’avvene,
che servo voi, soprana di biltate,
ed in redoppio mi tornan le pene;
e voi, madonna, di ciò non curate,
5anzi mi date doglia, che mi tene
e che m’ancide, se voi non m’atate.
Sospira ’l core, quando mi sovvene
che voi m’amavi, ed ora non m’amate.
E non è meraviglia s’eo mi doglio,
10ché la ventura mia tuttor disvene,
e le bellezze vostre van doppiando.
Quando mi penso il tempo ch’aver soglio,
in disperanza m’ torna tutto ’l bene,
e li conforti me ne van mancando.
123
È incolpato del peccato altrui; ma non può la menzogna durare.
Fera ventura è quella che m’avvene,
ch’altri fa ’l male ed eo ne son colpato,
e faccio l’orma ov’eo non pongo el piene:
nel loco, ov’io non vo, sí son trovato;
5pur mal m’incontra adoperando el bene,
e porto pena de l’altrui peccato.
Solo una cosa è quel che mi sostene
di ciò ch’io ne son quasi consumato:
che la menzogna passa tostamente
10e la fermezza rimane in suo stato,
e questo aggio veduto certamente.
Però, madonna, aggimi per scusato,
ché ’nverso voi non feci falso nente,
ché ’n veritá non l’avre’ pur pensato.