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di guittone d’arezzo | 197 |
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Non si dolga l’amico d’essersi allontanato
dal «follore» della sua donzella.
Amico caro meo, vetar non oso
ned ubidire deggio il tuo comando;
ché ’l tuo affare m’è tanto amoroso,
ch’ogni preghero fai prendo in comando,
5e di cheder perdon son coraggioso
piú per disubidir che dir fallando:
perch’io darò consiglio no noioso
perché ti parte ’n tutto lei amando.
Dici che tua donzella ha te gioi data,
10la quale per diritto noia conto:
no la laudo: pote esser blasmata.
E se parti di lei non doler punto,
ché l’onore e ’l pro tuo cresce ed agrata,
se dal follor di lei fa’ te digiunto.
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Amore l’ha fatto sordo, muto ed orbo.
Eo sono sordo e muto ed orbo fatto
per uno acerbo amore che m’ha priso.
Ed a ragione ’l ve diraggio ’n atto:
ché sordo son quando li sono al viso,
5e muto a lei parlare, e non batto
lingua né polso, sí sono conquiso;
e orbo quando la veggio son trasatto,
ché non credo che me veggia nel viso.
Ahi Deo! Perché non m’ave morto Amore?
10Ca vivere a me medesmo è noia,
e par che spiaccia a la donna mia.
Ch’un’ora il die mi fora grande gioia
vedere lei, che m’ha in segnoria,
che meve agghiaccia e fiamma lo core.