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146 | sonetti d’amore |
14
Benedice il suo cuore che ha saputo fargli desiderare una donna bella,
cara e saggia.
Deo, che ben aggia il cor meo, che sí bello
ha saputo logar suo intendimento!
Ché core è ben tanto nesciente e fello,
che ’n donna laida o vil mette talento.
5O sconoscente! Ma no è ’l meo quello:
che tal, che bella e cara e saggia sento
piú ch’altra del mondo, è ’l voler d’ello;
per che amo seguir suo piacimento
sí, che lo forzo meo sempre ’l savere
10in lei servire opera senza enfenta,
for guiderdone o merto alcun cherere.
Sia de me quello che lei piú atalenta,
che ’n loco ov’ha conoscenza e podere
non credo mai ch’om de servir si penta.
15
Il servizio non chiesto ha maggior valore;
e non si deve chiederne il premio.
Poi pur di servo star ferm’ho ’l volere,
vorrea per lei me fosse comandato.
Ma servigio non chesto e piú ’n piacere
a chi ’l riceve, e ’l servo è piú laudato;
5e sta a servente mal farsi cherere,
e lo signor de chesta è affannato.
E al signore tocca in dispiacere
similemente merto adimandato:
ch’adimandare affanna e falla il servo,
10e lo segnore ha noia e par forzato,
sí, che non guaire ha de mertar onore.
A non cheder ni far cheder m’aservo:
seraggio tal, non credo esser blasmato,
e la mia donna en sé spero migliore.