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LXXXVI

Stanco di tante amarezze e piú dell’essere altrui posposto.

Io son si stanco sotto il grave peso,
Amor, degli empi tuoi duri martiri,
che veder secchi i miei verdi desiri
bramo e quel laccio rotto ov’ io fui preso.

Un tempo fu che il mio bel sole, acceso
d’un vago lume, con pietosi giri
scacciò la folta nebbia de’ sospiri,
che’l viver m’avean giá quasi conteso;

or, per far le mie dolcezze amare
e i chiari giorni tenebrose notti,
ha per me spento di pietate i rai.

Ma, perch’io veggio altrui de le mie care
spoglie vestirsi, piu mi dolgo assai
che de’ riposi miei turbati e rotti.

LXXXVI i

Quantunque posposto altrui, spera tuttavia.

Quella ch’a l’ombra e al sol ne’ miei sospiri
chiamo, le cui divine, alte, chiare opre
folta nebbia del mondo non ricopre
né può tempo involar, fin che il sol giri,
t’adorna or di smeraldi e di zaffiri
ambe le sponde, o Tebro, ed in te scopre
le glorie occulte e sol par che s’adopre
mille accender d’onor caldi desiri ;

e mentre io penso al suo dolce sereno
di cosi folte tenebre spogliarmi,
ella altri riccamente al cielo scorge.

Ma, perch’io impoverisca e mi disarmi
di gioia, non fia mai che venga meno
la speranza ch’ognor piú ardita sorge.