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LVI

Nulla maggior pietá che al pianto di lei.

Scaldava Amor ne’ chiari amati lumi
suo’ acuti strai d’una pietá fervente
per piú fèro assalirmi il cor dolente,
mentre n’uscian duo lagrimosi fiumi.

Io che l’insidie e i suoi duri costumi
so per lungo uso, allor subitamente
spingo ’l cor nel bel pianto u’ vita sente,
perché in calda pietá non si consumi.

Come ne la stagion men fresca suole,
se la notte la bagna, arida erbetta
lieta mostrarsi a l’apparir del sole,
ris’ei ne la rugiada de’ begli occhi,
baciolli e disse: — Amor, la tua saetta
di pietá non tem’io che piú mi tocchi.

LVII


Alla castitá di lei Firenze appresta trionfi.

Donna, che ’ntesa a bei pensier d’onore,
gite non men di castitate altera
ch’umil de la virtú tanta e si vera,
del bel viver gentil cogliendo il fiore,

non rompe il ghiaccio, di che armate il core,
punta di strai né forza altra piú fera,
sempre piú accorta e piú franca guerriera
contra le ’nsidie che vi tende Amore.

O qual da’ saggi e chiari figli d’Arno
corona di topazi e di diamanti
vi si prepara e quai trionfi ed archi!

Diran che ’l mar di vostre lode indarno
solcai, che i detti miei fúr, a cotanti
vostri sublimi onor, languidi e parchi.