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CXCVII

In lode dell’osteria.

Prima ch’io diventassi viandante,
mi son trovato mille volte a dire
3 che l’osteria è cosa da furfante,

che avrei prima voluto che dormire
su Posteria mezz’ora, che lo spazzo
6 m’avesse fatto la cena patire;

e quando sentia dir ch’era un sollazzo
l’andar per l’osteria la notte e il giorno,

9 me ne ridea, tant’era goffo e pazzo;

parole mi parean tutte da forno
e con me mi portava il desinare,

12 quando m’accadea gir pel mondo attorno;

né mi poteva nel cervello entrare
quest’osteria, questa taverna, questa
15 dispiacevole solo a genti avare.

Ma poi ch’un giorno vi cacciai la testa,
sua mercé, non son mai di lei satollo,

18 né di di lavorar, né di di festa;

tal che s’io non mi fiacco o rompo il collo,
me ne vo ratto ratto in Elicona
21 a far cantar quell’asino d’Apollo,

per poter far sentire a ogni persona
in un foglio reai di stampa d’Aldo
24 quanto quest’osteria sia bella e buona

e quanto abbia giudizio intiero e saldo
chi ha l’osteria ne Possa e quanto sia,

27 chi di lei dice mal, tristo e ribaldo.

Benché, se io fossi de la poesia
e de le muse nonno, io non potrei
30 le lodi raccontar de Posteria,

cosa ordinata, un pezzo fa, da i dèi,
degno soggetto da stancare il Berna,

33 il Mauro, il Dolce e gli altri corifei.