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CLXXXVII

Da Ovidio, Metamorfosi , xm.
1
Sedérsi i capitani e, il greco stuolo (0
sparso d’intorno, l’onorato erede
di Telamon, per dimostrar ch’ei solo
l’arme d’Achille degnamente chiede,
come l’ira il pungea, sopra quel suolo
non ben fermato l’uno e l’altro piede,
il torto sguardo al sigeo lido volse,
indi cosi Tirata voce sciolse:
2
— Trattamo, o Giove, a queste navi innanzi
la causa? e meco Ulisse oggi concorre?

Ma non ebbe timor lasciarle dianzi
in preda al fuoco del nimico Ettorre.

Quindi elle ardean senza restarne avanzi,
s’io per lor non ardiva il petto opporre:
dunque è ben ver che ’l contrastar aggrada
piú col finto parlar che con la spada.

(1) Questa prima ottava e i primi sei versi della seconda suonan cosi nella lezione
Volgata:

Sederò i capitani e, stando intorno
la greca turba, il cavalier si mosse,
quel che sen va del forte scudo adorno,
c’ha sette doppie a meraviglia grosse;
e, come sempre irato sia, quel giorno
impaziente al furor piú che mai fosse,
torse ai liti sigei l’orribil faccia
e incominciò, sbarrando ambe le braccia:

— Questa lite si tratta, o Dio, presente
la nave? e meco Ulisse oggi concorre?
esso è pur quel eh*in mezzo al fuoco ardente
lasciolle in preda del nemico Ettorre,
quando alle fiamme, e per me tolte e spente,
io volsi il petto e non le spalle opporre.

In piú altri luoghi fino alla stanza ventunesima, ché piú non ne serba il codice
perugino F, 75, la lezione nostra varia, e notevolmente, da quella del Cavallucci
[Ed.].